Breve viaggio storico-artistico a L'Aquila, a dieci anni dal sisma che sconvolse la città


di Iolanda Attanasio – storica dell’Arte, laureatasi presso l’Università degli Studi dell’Aquila


Parlare a cuor leggero dell’Aquila non è mai un compito semplice, specialmente per chi lì ha vissuto, e che ha dovuto abbandonare forzatamente quei luoghi, ormai dieci anni fa. In questi anni abbiamo assistito a dolore, sfiducia, scandali e polemiche, ma anche a slanci di coraggio, forza, speranza e determinazione da parte del popolo aquilano così duramente provato. Da quello che ci dicono gli organi di informazione, la ricostruzione procede finalmente a passo spedito e fra pochi anni dovrebbe essere completata in gran parte: rimangono tanti problemi, c’è un tessuto sociale da ricostituire, prima di tutto. Ci sono ferite da rimarginare, giovani a cui far conoscere ciò che è stato, per preservare e tutelare ciò che L’Aquila sarà nel futuro. C’è una generazione di studenti che ha visto la storica Università tentare di sopravvivere ad un alto tasso di abbandono e che ora sta rialzando la testa. Ci sono attività commerciali ed industriali da far ripartire. E poi, ma non ultimo, un patrimonio artistico da recuperare e dal quale ripartire per restituire agli abitanti e ai turisti una città nuova ma saldamente ancorata alla propria storia, alle proprie radici.

Da giovane storica dell’arte che in quella città ha studiato, che quella città ha profondamente amato e che soffre nel vederla ancora ferita, tengo molto anche al patrimonio artistico così gravemente danneggiato, ed ho affrontato tale tematica in diverse occasioni di dibattito e di approfondimento. Se chiudo gli occhi mi rivedo giovane studentessa che a passo svelto attraversa il centro storico dell’Aquila per andare in facoltà, alzando sempre lo sguardo verso i palazzi, i balconi fioriti, le antiche chiese, ed il cielo luminoso e terso di montagna, cercando di catturare quante più sfumature possibili di quella città che, nel bene e nel male, mi stava ospitando, mi stava aiutando a costruirmi un futuro.

Ed ecco che rivedo davanti ai miei occhi il Forte Spagnolo, corso Vittorio Emanuele, la Basilica di San Bernardino con la cordonata che inizia dalla suggestiva via Fortebraccio, poi tornando verso il Corso i portici, piazza Duomo con la Cattedrale di San Massimo e la Chiesa delle Anime Sante, fino alla Basilica di Collemaggio. Per ricordare a modo mio L’Aquila, dando il mio modesto contributo, vorrei soffermarmi su alcuni di questi monumenti, sperando di suscitare l’interesse del lettore proponendo un breve excursus sulla felice stagione dell’arte cinquecentesca a L’Aquila, fiorente di  testimonianze pittoriche ed architettoniche di particolare rilievo. Forse non tutti sanno, infatti, che L’Aquila vanta una sua scuola artistica ben precisa e connotata all’interno del panorama culturale italiano; scuola che si sviluppò in realtà un po’ tardivamente, a partire cioè dalla metà del Quattrocento e connessa in questo senso più a Napoli che a Roma.

Artisti di spessore diedero prestigio a questa Scuola, da Andrea Delitio, definito “il maggiore di tutti i pittori abruzzesi” e collocabile, a voler essere precisi, nel Rinascimento umbratile o Pseudo-Rinascimento, cioè tardo-gotico, che caratterizzò il mondo artistico dell’Italia centrale. Mi riferisco soprattutto alle arti figurative perché, se è vero che i beni mobili hanno subito nel corso dei secoli certamente danni gravi e spesso irrimediabili, è altrettanto vero che agli edifici è andata peggio, perché interessati non solo dai danneggiamenti dovuti ai terremoti (cito tra tutti quelli del 1461 e soprattutto 1703) ma anche da tante e tali trasformazioni che è oggettivamente difficile distinguere ed isolare una precisa architettura aquilana rinascimentale. 

La città fu certamente un posto di transito, di passaggio, per maestranze locali e non: testimonianza ne è l’arrivo di artisti come Silvestro di Giacomo, scultore di Sulmona noto ai più come Silvestro Aquilano, che diede vita ad una tale vivacità nell’ambiente da far nascere una “Scuola Aquilana” a tutti gli effetti. Nella sua bottega venne elaborato un linguaggio figurativo nuovo, basato sugli esempi fiorentini, e capace di influenzare i contemporanei. Tutto ciò va collocato in una fase storica importante perché nella seconda metà del Quattrocento L’Aquila visse una congiuntura economica e sociale particolarmente vivace, grazie soprattutto al suo ruolo centrale nello scacchiere politico all’interno del Regno di Napoli, e ai fitti e floridi commerci con compagnie fiorentine e veneziane, che permettevano di conseguenza il proliferare di attività commerciali, artigiane, finanziarie. Nella bottega di Silvestro Aquilano si forgiò l’arte di Saturnino Gatti, che ebbe modo di aggiornarsi addirittura in Calabria e nella Firenze di Lorenzo il Magnifico. All’epoca della felice realizzazione del Monumento al Cardinal Agnifili da parte del Maestro Silvestro Aquilano, poté osservare opere del Ghirlandaio e aggiornare la sua pittura, realizzando figure più plastiche ed eleganti, come è visibile nel ciclo di affreschi nella chiesa di San Panfilo a Tornimparte, definita da Vittorio Sgarbi la Cappella Sistina d’Abruzzo.

Saturnino Gatti, affreschi nella chiesa di San Panfilo a Tornimparte (AQ) 1491-1494

Silvestro di Giacomo, Monumento Agnifili (part.) - L'Aquila, Cattedrale di San Massimo

In questa fase in cui fitti sono i rapporti commerciali con Firenze, abbiamo la più piena adesione dell’Aquila al Rinascimento. Addirittura la città ospitò un’opera di Raffaello, la Visitazione Branconio, che significò un primo lento aggiornamento dell’arte locale verso un classicismo più consapevole, colmando in parte quel leggero ritardo che invero sempre caratterizzò la situazione artistica abruzzese rispetto ai grandi centri. Destinata alla chiesa di S. Silvestro, giunse da Roma a L’Aquila grazie soprattutto ai forti legami economici della famiglia Branconio con Papa Leone X. Addirittura Raffaello Sanzio disegnò il Palazzo dei Branconio a Roma, che si trovava in Borgo San Pietro, in seguito demolito per fare spazio al colonnato del Bernini. Come poi la pala sia andata via, resta un grande rammarico per gli aquilani: sta di fatto che, per le pressioni del Re di Spagna Filippo IV e per intercessione di Alessandro VII, Francescantonio Branconio donò il dipinto alla Spagna; durante il periodo napoleonico fu ceduta alla Francia per poi fare ritorno “in patria” dopo il Congresso di Vienna, trovando sistemazione prima all’Escurial e poi al Prado, dove ancor oggi si conserva, mentre all’Aquila è rimasta una copia.

Raffaello, Visitazione - Madrid, Museo del Prado

L’Aquila è una città dalla storia piuttosto complessa, che andrebbe maggiormente approfondita, il mio è solo un modesto contributo. Provando a sintetizzare, si potrebbero individuare due punti focali della sua vita storica e politica: il Forte Spagnolo e la Basilica di San Bernardino. Il primo, nato per fini meramente politici, riflette un clima diverso rispetto a quello che accompagnò l’erezione del tempio francescano. Dal 1503 infatti, con la riconquista del Regno di Napoli da parte degli Aragonesi sui Francesi con la Battaglia del Garigliano, gli aquilani avevano visto le proprie libertà e le autonomie preesistenti fortemente limitate: situazione questa che si protrasse per molti anni fino a quando nel 1527 essi si rivolsero ai tradizionali alleati francesi unendosi ad una lega antispagnola; ma, a fronte di sonore sconfitte, poco dopo la città venne occupata militarmente da Filiberto d’Orange, viceré di Napoli sotto Carlo V, saccheggiata e sottoposta a continue ritorsioni: su tutte la spartizione del ricco contado aquilano in feudi direttamente collegati al governo centrale (colpo durissimo per l’economia aquilana) e l’imposizione di tasse gravosissime per edificare l’imponente Forte. La realizzazione venne affidata a Pirro Luis Escrivà, dal 1534, e durò una trentina d’anni.

Questo quadro storico serve a comprendere come il Castello non ebbe mai carattere difensivo dei confini, bensì di sentinella interna, per reprimere eventuali ribellioni. Secondo lo schema architettonico adoperato nel Rinascimento e derivato dai precetti vitruviani, esso coniuga solidità e proporzionalità: in ciò risiede la sua bellezza. Unico elemento decorativo è il meraviglioso portale d’ingresso sormontato dall’arma asburgica. È importante sottolineare che una delle peculiarità dell’Aquila è la sua divisione in quattro quarti, o quartieri, corrispondenti a zone limitrofe, villaggi o castelli, che ne promossero la costruzione a partire dal XIII secolo. Ogni quarto (non si tratta di una divisione all’interno delle mura, essa si estende anche al contado) ha un suo stemma, colore, e una chiesa capoquarto collegata al castello di origine, con adiacente piazzetta abbellita da una fontana. Un esempio: nei pressi della vecchia sede della Facoltà di Lettere e Filosofia, la Chiesa di S. Pietro a Coppito è la chiesa capoquarto appunto del quarto di S. Pietro e collegata al castello di Coppito che ne promosse la costruzione.

Si comprende forse meglio, adesso, quale sforzo poté rappresentare all’epoca la distruzione di una grossa porzione del Quarto di Santa Maria per lasciar posto al Forte Spagnolo.


Forte spagnolo, 1534-1567









Del medesimo Quarto fa parte la Basilica di San Bernardino che, a differenza del Castello, sorse in un momento particolarmente florido per L’Aquila, quel Quattrocento che la vide al massimo splendore grazie ai commerci della lana e dello zafferano, non solo con Firenze, Genova o Venezia, ma anche con Francia, Olanda, Germania. San Bernardino morì a L’Aquila nel 1444: i lavori per la realizzazione del tempio francescano presero il via esattamente dieci anni dopo, per intercessione di San Giovanni da Capestrano, protraendosi per una ventina di anni con molte interruzioni. Se all’interno vi è lo straordinario Mausoleo, opera di Silvestro di Giacomo, che ospita le spoglie di San Bernardino e che funse da modello per il Mausoleo di San Pietro Celestino in Collemaggio, la parte più nota, anche per chi non ha mai avuto il piacere di visitare la Basilica, assurta anch’essa a simbolo de L’Aquila, è senza dubbio la meravigliosa facciata opera di un artista che “purtroppo” abbiamo sentito spesso citare in occasione di un altro terremoto che ha sconvolto l’Italia centrale in anni recenti, quello di Amatrice del 2017. Sto parlando di Cola dell’Amatrice.

La sua presenza a L’Aquila porta ad evidenziare i suoi meriti di architetto, ma preme ricordare che fu soprattutto pittore la cui fama si espanse in tutto il centro Italia, citato anche dal Vasari che ne Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e archi tettori (1550) ne sottolineò la discontinuità qualitativa, avendo alternato lavori decisamente validi ad altri di livello inferiore, soprattutto nell’ultima fase della sua attività. Alla facciata di San Bernardino lavorò a partire dal 1525, dando al complesso una squisita impronta rinascimentale. Essa si presenta come un reticolo composto dagli ordini dorico, ionico e composito sovrapposti, incrociati alle tre parti verticali scandite da coppie di colonne; il tutto movimentato dagli oculi, alcuni aperti, altri ciechi, e dalla serliana al centro. In alto, l’iscrizione con dedica al Santo senese. Tale fantasia compositiva deriva dalla commistione tra le idee architettoniche del Cola, che si ispirò alle lezioni del Bramante, e la classica facciata a coronamento orizzontale dell’arte aquilana e in generale abruzzese. La firma di Cola è leggibile, anche per chi non è uno studioso, nella cornice insieme all’anno di esecuzione: MDXXVII COLA AMA.

Alla chiesa si accede dall’imponente la scalinata - dicasi più propriamente cordonata - incorniciata da nicchie su entrambi i lati. Proprio per il suo alto valore simbolico, la Basilica di San Bernardino è stato uno dei primi monumenti ad essere restituito alla cittadinanza dopo un attento restauro.

interno della Basilica di San Bernardino, 1454-1472
Silvestro di Giacomo, Mausoleo di San Bernardino 

Cola dell'Amatrice, Facciata della Basilica di San Bernardino, 1525-1527

Spostandoci dall’area di San Bernardino verso il centro, si percorrono gli eleganti portici, che cominciano dai cosiddetti “quattro cantoni”, fulcro della vita cittadina aquilana, prima di arrivare a Piazza Duomo o piazza del Mercato, a suo tempo esclusa dalla ripartizione in quarti della città perché rappresentava lo spazio pubblico per eccellenza. A tal proposito, una piccola curiosità: nessun palazzo nobiliare si affaccia su di essa perché un’antica regola stabiliva che nessun conte dovesse dominare sullo spazio comune dei cittadini. Su Piazza Duomo svettano le due chiese, il Duomo di San Massimo, fondato originariamente nel XIII secolo e ricostruito diverse volte nel corso dei secoli, e sulla quale non mi dilungherò, eccezion fatta per il riferimento fotografico alla mostra della preziosa Lunetta con Madonna e cherubini. Questa faceva parte infatti del Monumento al Cardinale Amico Agnifili, realizzato alla fine degli anni Settanta del Quattrocento dal succitato Silvestro Aquilano, in onore di questo illustre personaggio che aveva sfiorato l’elezione al soglio pontificio: monumento però andato praticamente distrutto con il terribile terremoto nel Settecento e poi rimosso e smembrato. Alcuni frammenti tornarono in Duomo, mentre questa lunetta fu collocata nella parete laterale all’esterno della chiesa di San Marciano. La morbidezza delle carni e la leggiadria delle vesti raccontano dell’eredità lasciata dall’osservazione, da parte dell’artista, delle opere del Verrocchio in Toscana, come ho precedentemente accennato. L’altra chiesa che si affaccia sulla piazza è quella di Santa Maria del Suffragio, nota come Chiesa delle Anime Sante. Al lettore essa verrà subito in mente per essere stata seriamente danneggiata dal terremoto, in particolar modo la cupola del Valadier, per molto tempo fu protetta dalle intemperie e da eventuali altri crolli da quella sorta di “ombrello” in ferro e plexiglas che ne ha reso possibile la fruizione durante i lavori di restauro.

Piazza Duomo, su cui svettano a sin. la Chiesa delle Anime Sante, e sulla destra il Duomo di San Massimo

Silvestro di Giacomo, Lunetta con Madonna e Cherubini
G. Valadier, Cupola di Santa Maria del Suffragio










Appena fuori dalla cinta muraria, sull’omonimo colle, sorge la Basilica di Collemaggio, tappa finale di questa ipotetica passeggiata lungo l’asse viario principale dell’Aquila. Collemaggio è il classico esempio di romanico-gotico abruzzese, probabilmente ne rappresenta il punto più alto mai raggiunto, almeno per quanto riguarda la facciata quadrangolare e l’interno. I lavori di restauro di Collemaggio sono durati solamente due anni (un tempo da record!), ed hanno restituito la Basilica esattamente com’era prima del 6 aprile 2009, ovvero già frutto di una sintesi di vari interventi. Collemaggio, infatti, fondata nel 1287, fu restaurata a seguito del terremoto del 1703 e poi fu oggetto di un importante intervento negli anni Settanta del Novecento, teso a riportarla allo stato originario, e smantellando dunque tutti gli orpelli barocchi, compreso un pregevole soffitto ligneo a cassettoni, applicati nel Settecento. Della fase barocca rimangono tracce nel transetto e nella parte absidale, che convivono con le navate gotiche. Una veste polistilistica, insomma.

Basilica di Santa Maria di Collemaggio

pavimento della Basilica
interno della Basilica di Collemaggio








Personalmente, ritengo che questa commistione così particolare sia esemplificativa in qualche modo del carattere speciale che ha l’Aquila. Collemaggio ha cambiato veste più volte nel corso della sua lunga storia: eppure sta lì, forte e fiera, e in essa convivono diverse anime, come abbiamo visto. Allo stesso modo la città de L’Aquila, che dà voce a tante anime: la stratigrafia dei palazzi “parla” a tal proposito. Senza scadere in una facile retorica, non è un auspicio, ma una viva speranza per me e per tutti quelli che portano nel cuore questa città, vederla rinascere più bella e fiera di prima. In questo decennale così sentito, vogliamo continuare a soffermarci sulle luci della città che sta rinascendo, provando a lasciarci alle spalle - ma conservandolo come monito per i nostri figli che verranno – le ombre di quella notte, quei ventitré secondi dopo le 3:32 del 6 aprile 2009.


- le immagini raffiguranti la città sono tratte dal volume “Mal d’Aquila” di Luisa Loffredo -